lunedì 16 agosto 2010

Le cantigas galego-portoghesi


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La lirica galego-portoghese fu coltivata da poeti appartenenti ai ceti sociali più vari – dai giullari di professione ai re – in tutta la penisola iberica durante un periodo che abbraccia il XIII e la prima metà del XIV secolo. Come limite ad quem della scuola poetica galego-portoghese è generalmente fissato il 1354, data della morte del Conde de Barcelos, Don Pedro de Portugal, ultimo cultore di questo genere di poesia: egli nel 1350 lasciava in eredità ad Alfonso XI di Castiglia quel Livro das Cantigas in cui si suole identificare la compilazione generale dalla quale derivarono i canzonieri che oggi conserviamo: il Cancioneiro da Ajuda, il Cancioneiro da Biblioteca Nacional e il Cancioneiro da Vaticana (copiati in Italia in epoca umanistica, risalgono probabilmente ad un unico testimone antico).
Alle cantigas profane vanno aggiunte le oltre 400 poesie dedicate alla Vergine dal re portoghese Alfonso X, le Cantigas de Santa Maria: componimenti in genere esclusi dal corpus, almeno nei repertori e negli studi critici, sia per le peculiarità tematiche (trattano argomenti di varia devozione miracolistica), sia per la separatezza della loro tradizione manoscritta rispetto a quella delle cantigas di argomento profano. Benché non vi siano dubbi che tutte le poesie liriche fossero originariamente cantate, la stragrande maggioranza dei testi profani galego-portoghesi ci è pervenuta sprovvista di notazione musicale. Le uniche melodie sono quelle riportate da due frammenti (Vindel e Sharrer) e riguardano un ristrettissimo numero di testi di Martin Codax e di Dom Dinis (re di Portogallo dal 1279).

Gli influssi esterni

Il processo letterario di genesi e formazione della lirica galego-portoghese è da mettere in rapporto con il fenomeno dei pellegrinaggi a Santiago di Compostella, che fecero di questa città un centro importante di potere, caratterizzato da internazionalismo linguistico e da una fervida attività culturale. Fin dai tempi più antichi, molti trovatori provenzali affluirono nelle corti spagnole e la loro presenza si intensificò verso la fine del XII secolo, mentre al tempo stesso alcuni trovatori di origine iberica componevano in occitanico. Anche le crociate, del resto, in quanto occasione di scambi culturali e soggetto di ispirazione, ebbero un ruolo non secondario nella formazione e nella diffusione della lirica di area iberica.

Le cantigas d’amigo

La questione delle origini, però, non si esaurisce nel rapporto con i differenti tipi di lirica colta. Le peculiarità della lirica galego-portoghese si manifestano infatti soprattutto nella costituzione di un genere che, in quanto tale, non ha corrispondenti in ambito romanzo, la cantiga d’amigo. Esso mostra però analogie con i moduli stilistici delle kharajat mozarabiche, di oltre un secolo più antiche nelle attestazioni da noi conosciute. Sia le cantigas d’amigo che le kharajat sono messe in bocca a donne che in genere dialogano con l’amato, o si lamentano della sua assenza con la madre o con le amiche. L’io lirico è rappresentato da una fanciulla e le situazioni possono contemplare la lontananza o l’abbandono da parte dell’amico, l’impossibilità di un incontro o un’attesa delusa. Nell’uno e nell’altro genere, comunque, predomina il motivo della separazione, sottolineata tramite l’utilizzo di esclamazioni, di domande retoriche, di moduli stilistici comuni a entrambi.
Nella cantiga d’amigo la donna entra in rappporto non solo con l’amico ma anche con altri personaggi, come la madre o l’amica confidente, con vari elementi della natura o con alcuni animali. L’azione viene spesso contestualizzata nello spazio e nel tempo: si ha sovente un’ambientazione primaverile, con prati e montagne in fiore e talvolta ci si può trovare nelle vicinanze di una fonte, sulle sponde di un fiume o in riva all’oceano. Il mare è certamente l’elemento più tipico di questa tradizione letteraria. Un magnifico esempio è la poesia di Martin Codax:

Ondas do mar de Vigo,
se vistes meu amigo?
E ay Deus, se verrá cedo!
Ondas do mar levado,
se vistes meu amado?
E ay Deus, se verrá cedo!
Se vistes meu amigo,
o por que eu sospiro?
E ay Deus, se verrà cedo!
Se vistes meu amado,
por que ey gran coydado?
E ay Deus, se verrà cedo!
(Onde del mare di Vigo, / avete visto il mio amico? / O Dio, verrà egli presto! / Onde del mare levato, / avete visto il mio amato? / O Dio, verrà egli presto! / Avete visto il mio amico, / quello per cui io sospiro? / O Dio, verrà egli presto! / Avete visto il mio amato, / quello per cui ho tanto grande affanno? / O Dio, verrà egli presto!)

Per questo componimento Luciana Stegagno Picchio ha sottolineato la percezione «subliminare e sinestetica» dell’immagine-suono connessa all’onda marina, il cui moto oscillatorio è evocato dall’andamento mosso dei versi, dai parallelismi e dallo scambio di vocali fra amigo e amado. Le ondedo mar stanno anche a rappresentare le onde d’amor, i violenti vai e vieni del sentimento.

La cantiga d’amor

Anche dal punto di vista tematico, dunque, la cantiga d’amigo può a tratti avvicinarsi alla cantiga d’amor: La differenza principale fra i due generi è che nel primo il poeta finge che sia la donna ad esporre la propria pena, mentre nel secondo egli parla in prima persona. La cantiga d’amor, però, ha un’intonazione più aristocratica, sia nell’elaborazione formale, di certo più curata e vicina al modello trobadorico, sia nei contenuti, che generalmente, si concentrano nell’attristata e talvolta melensa richiesta (o dichiarazione) d’amore del poeta alla donna amata, o nelle lamentele per l’indifferenza di lei. Si legga, ad esempio, questa bella e breve cantiga del giullare Bernal de Bonaval:

Pero me vós dizedes, mha senhor,
que nunca per vós perderey
a muy gram coyta que eu por vós ey
en tanto com’eu vyvo for,
al cuyd’eu de vós e d’Amor:
que mh-averedes muy ced’a tolher
quanta coyta me fazedes aver.

(Trad. Sansone, p. 79: Sebbene, signora, a me voi diciate / che mai perderò, a motivo di voi, / l’enorme pena che per voi sopporto / fino all’estremo momento di vita, / altro io penso di voi e d’Amore: / che mi dovrete ben presto levare / tutto il dolore che mi fate avere)

In tutte le cantigas d’amor la senhor è perfetta: le sue maggiori virtù sono le qualità morali (bontade, sen, prez, ecc.), l’abilità nel discorso (falar mui ben), l’espressività del sorriso (riir), la bellezza dello sguardo e in generale del parecer. Così continua la cantiga di Dom Dinis:

Ca mha senhor quizo Deus fazer tal,
quando a fez, que a fez sabedor
de todo bem e de mui gram valor,
e com tod’est[o] é mui comunal
ali u deve; er deu-lhi bom sem,
e desi nom lhi fez pouco de bem
quando nom quis que lh’outra foss’igual.

(Trad. ivi: E, nel crearla, Iddio volle fare / la mia signora d’ogni bene esperta / e di gran qualità; ma ciò malgrado / all’occorrenza si mostra assai semplice. / Egli le dette davvero gran senno, / non elargendo a lei modesto dono / quando non volle che simile avesse)

La donna, però, è quasi sempre altezzosa e spesso il poeta è costretto ad allontanarsi da lei o perfino ad andare in esilio. Il principale sentimento del poeta è la coita, una tristezza che è insieme profondo malessere e struggente malinconia. Il predominio sul piano lessicale di questo sentimento, con tutti i termini ad esso legati, è il tratto forse più interessante della cantiga d’amor, poiché contribuisce a conferire a questo genere un particolare tono lamentoso e cupo e una particolare monotonia ispirativa. Si legga questo bell’esempio tratto da canzoniere di Pero Garcia Burgalês:

Mais de mil vezes coid’eu eno dia,
quando non posso mia sennor veer,
ca lle direi, se a vir toda via,
a mui gran coita que me faz soffrer;
e poila vejo, vedes que mi aven:
non lle digo de quanto coido ren,
ant’o seu mui fremoso pareçer,
que me faz quanto coido escaeçer!

(Più di mille volte al giorno io penso / quando non posso vedere la mia signora, / che le racconterei, se la vedessi, / del grandissimo affanno ch’ella mi fa soffrire; / ma poi, quando la vedo, sentite che mi succede: / non le dico niente di ciò che penso / di fronte al suo portamento bellissimo, / che mi fa dimenticare ciò che penso!)

Nel complesso il mondo della cantiga d’amor non mostra grande varietà nella rappresentazione delle situazioni. Il poeta ama, ma dall’amore non ha che dolore e tristezza: dichiara di invidiare chi muore o preannuncia di morire egli stesso, affermando di non credere che abbiano veramente affanni d’amore quelli che non muoiono quando muore la donna loro.

Le cantigas d’escarnho e de maldizer.

Con la gioia, sparisce l’elemento forse più caratterizzante del trobar, il ludico, sostituito sia nella Penisola Iberica che in Italia dall’utilizzo scanzonato di procedimenti retorici propri dello scherno: se in Provenza giocare, ridere, riflettere e sorridere potevano compenetrarsi e integrarsi, nella Penisola Iberica alla coita d’amor fa spesso da contrappunto solo la sguaiata risata della derisione e dell’ingiuria. I poeti provenzali ritenevano che «per mal dir» si potesse perdere l’anima (così recita testualmente l’attacco della «sestina» del trovatore Arnaut Daniel). I trovadores galego-portoghesi, invece, fanno della maldicenza un modo poetico da esperire in tutte le sue potenzialità, quello che si manifesta nelle cantigas d’escarnho e de maldizer.
Il fenomeno doveva rispondere a un costume diffuso, se Alfonso X nelle sue Siete Partidas arrivò a legiferare «que ningun ome non fuese osado de cantar cantiga nin decir rimas nin dictados que fuesen fechos por deshonra o por denuesto de otro»; [che nessuno osi cantare canzoni o recitare versi o altri componimenti fatti a disonore o ingiuria di altra persona]: le cantigas d’escarnho sono quindi non solo il complemento e il contrappunto della poesia cortese rappresentata dalle cantigas d’amor, ma anche la manifestazione poetica di un’attitudine ben presente nel popolo, benché vada senz’altro avvertito che «le iperboliche ingiurie versificate del medioevo non comportano necessariamente un’adeguata rispondenza con la realtà» L’Arte de trobar individua come principale differenza fra i due generi burleschi l’utilizzo o meno di artifici ambiguanti: infatti le cantigas d’escarnho sono scritte per dir male di qualcuno e lo fanno «per palavras cubertas que ajã dous entendymentos» (attraverso parole coperte, con due significati); nelle cantigas de maldizer, invece, il trovatore parla «descubertamente» (in modo scoperto), con parole «a que queren dizer mal e nõ aver outro entendimento senõ aquel que queren dizer chaamente [il cui fine è quello di dir male e non hanno altro significato se non quello che vogliono dire chiaramente].
Il gruppo di cantigas d’escarnho più numeroso è quello in cui la satira colpisce difetti molto concreti, come l’aspetto fisico, la mancanza di abilità pratica, la tendenza a determinati vizi, spesso di carattere sessuale. Talvolta la vittima è la donna del destinatario, in genere una moglie infedele. Alcune cantigas hanno per protagoniste le soldadeiras, donne poco virtuose, se non prostitute, la più famosa delle quali è Maria Perez, Balteira, che torna in tredici cantigas ed è rappresentata come una viziosa giocatrice, amante di un prete e tendente alla superstizione. La Balteira e le sue colleghe non sono però fatte oggetto di riprensione in termini moralistici: nei loro confronti i trovatori galego-portoghesi si limitano a scherzi spesso volgari, mescolando il lessico erotico a quello religioso. Alfonso X, ad esempio, paragona la lussuriosa passione di una di queste cortigiane alla passione di Cristo, stravolgendo parodicamente a tal fine frasi del Vangelo di San Marco. Ma anche le donne brutte possono essere messe alla berlina e una canzone di lode può divenire un escarnho impietoso, come in questo componimento di Johan Garcia de Guilhade:
Ai, dona fea, fostes-vos queixar
que vos nunca louv[o] en meu cantar;
mais ora quero fazer un cantar
en que vos loarei toda via;
e vedes como vos quero loar:
dona fea, velha e sandia! …
(Ai, donna brutta, vi siete lamentata / che non vi lodo mai nei miei canti; / ma ora voglio farne uno / in cui vi loderò comunque; / e sentite come vi voglio lodare: / donna brutta, vecchia e matta).
Nelle cantigas d’escarnho e de maldizer vengono infangati chierici dalla morale non integerrima, cavalieri male in arnese, villani arricchiti, borghesi ricchi e avari, nobili decaduti, ecc. Si hanno satire contro i mori appena convertiti che vogliono partire per la crociata, o contro il falso pellegrino. Parimenti, ci si burla del desiderio di ascesa sociale di giullari e cavalieri, utilizzando un lessico volgare e spesso osceno. Molto spesso la satira è rivolta contro la «società poetica» del tempo: contro i giullari, il più delle volte, ma anche contro i nobilastri che non danno ai giullari il dovuto compenso, o che li maltrattano per la loro imperizia.

Articolo scritto da Paolo Canettieri, Professore all’Università degli Studi di Roma, La Sapienza. Si occupa di letterature romanze medievali (italiana, provenzale, francese, castigliana, galego-portoghese), con particolare riguardo alla lirica e alle sue strutture metriche, rimiche e melodiche.

Luciana Stegagno Picchio (in Italia è stata la più conosciuta studiosa di Lingua e Letteratura Portoghese, per la sua bibliografia consultare http://www.facebook.com/group.php?gid=40781194388&ref=ts#!/group.php?gid=40781194388&v=info&ref=ts.

3 commenti:

Marcela ha detto...

Muito interessante, parabéns pelo tema.
:)

Anonimo ha detto...

A poesia trovadoresca fascina-me, infelizmente saiu dos programas escolares...

Anonimo ha detto...

ho avuto l'onore di cantare proprio alcune Cantigas de Santa Maria con Giovannangelo de Gennaro (mio maestro da 5 anni, ormai :-) ) e le Cantigas d'Amigo sono nel mio repertorio. Quindi questo articolo è proprio adatto a me ♥

Trovo interessante e fondamentale cercare le radici (anche melodiche, a volte) della muisca tradizionale nella musica del Medioevo che dovrebbe essere definita "d'Origine" altro che "Antica"... :-)
Trovo interessante e fondamentale cercare le radici (anche melodiche, a volte) della muisca tradizionale nella musica del Medioevo che dovrebbe essere definita "d'Origine" altro che "Antica"... :-)
(Silvana)